Conosciuta da pochi, la Fagiolina del Trasimeno ha una storia particolare. Preparati a conoscerla e a sapere come cucinarla.
La prima volta che ci è capitato di vederla è stato in occasione di una gita all’isola Polvese, la più frequentata dal turismo delle tre del lago Trasimeno.
Il traghetto fa sevizio come lo farebbe un pullman di linea fra due paesi della terraferma. Compriamo il biglietto e via, traversiamo il tratto del tranquillissimo Trasimeno che separa Passignano dall’isola.
Arrivati, ci troviamo di fronte un paesaggio di altri tempi, c’era l’atmosfera delle vacanze al mare da bambini, con la nonna e le sue amiche eleganti, nel 1960. Piacevole.
In un negozietto, credo l’unico, pieno di delizie gastronomiche locali fra salumi, bottiglie di vino e piccole forme di formaggio, notiamo delle bustine con dentro qualcosa che sembrava della grossa lenticchia.
A guardare bene si trattava invece di minuscoli fagioli, alcune bustine ne contenevano di colore uniforme, altre erano variopinte, con fagioli dal quasi nero al rossiccio, dal beige al marrone.
Sui pacchetti c’è scritto: “Fagiolina del Trasimeno“. Chiediamo alla ragazza che gestiva il negozio di cosa si trattasse, dicendogli che era un legume che non avevamo mai visto e di cui ignoravamo l’esistenza.
La storia
Contenta della domanda, la ragazza ci inizia a raccontare che la Fagiolina era uno degli alimenti importanti nella dieta degli Etruschi. Le grandi capacità commerciali di questa civiltà permisero di diffonderne la coltivazione in tutta l’area del Trasimeno. I terreni umidi ed il clima favorirono la diffusione della “Vigna Unguiculata“, nome scientifico di questa pianta di origini africane.
Fino al secondo dopoguerra è stato il principale apporto di proteine per le popolazioni della zona, considerando che contiene dal 5 al 15% in più di proteine rispetto alla media dei comuni fagioli ed un contenuto di lipidi inusuale per un legume.
Ci racconta che la coltivazione non è difficile, la pianta è molto resistente ai parassiti e non necessita di trattamenti fitosanitari ma è complicata la raccolta, si inizia a fine luglio e si finisce a settembre. I baccelli maturano in modo scalare, cioè non maturano tutti insieme ma in un arco di tempo di più di due mesi.
I contadini dovevano, e devono ancora oggi, raccogliere quasi ogni giorno quelli maturi, con un impegno di manodopera davvero notevole.
Una volta raccolti devono essere stesi al sole per completare l’essiccamento e poi battuti per dividere il seme (i fagioli) dai baccelli. Poi i fagioli vanno vagliati (puliti) e immagazzinati.
Queste pratiche, usuali quando la manodopera era prettamente familiare, cominciarono ad essere costose ed impraticabili dopo lo svuotamento delle campagne, determinato dalla fine della mezzadria.
La fagiolina, negli anni ’70 è stata ad un passo dalla estinzione. Poco produttiva e dai costi altissimi.
Il recupero
Dimenticata per decenni, coltivata da pochi testardi, ha miracolosamente attraversato questo periodo avverso. Oggi poche aziende agricole ne conservano l’eccellenza.
Con un enfasi che si alterna fra promozione commerciale e sincera passione, la ragazza racconta che le poche aziende la coltivano lo fanno per conservare il suo gusto particolare. Caratterizzato da una delicatezza che la rende dolce al palato, con quel nobile retrogusto di erba appena tagliata e, la buccia, così morbida e sottile, tanto da renderla piacevole alla masticazione.
Nel 2000 è stata inserita nei presidi Slow Food, grazie anche alla collaborazione dell’Università di Agraria di Perugia. Nel 2002 si è costituito il “Consorzio Fagiolina del Trasimeno” che raccoglie i più di venti, attuali, temerari produttori.
Beh, assaggiamola!
Affascinati dal racconto abbiamo acquistato un sacchetto del prezioso legume, quello con i semi tutti di color crema, anche se la ragazza diceva che quella più caratteristica è quella variopinta.
Semplicemente bollita e poi condita con olio crudo, sale, pepe ed uno spicchio d’aglio è fantastica!
La vogliamo riprodurre?
Da bravi aspiranti coltivatori, abbiamo conservato alcuni semi da mettere in terra. Con poche aspettative devo dire, ma l’entusiasmo ha prevalso.
Qualche settimana fa li abbiamo messi in terra. Amorevolmente annaffiati e coccolati sono spuntati, praticamente quasi tutti.
Ora sono li, nei vasi del semenzaio orgogliosi, in attesa di essere trapiantati in terra aspettando il momento giusto di questa stagione anomala, piena di piogge.
Eh si, ora si tratta solo di aspettare! Non siamo poi tanto lontani dal Trasimeno, la nostra fagiolina autoprodotta avrà le stesse caratteristiche? Non lo sappiamo ancora ma le premesse sono buone. Nel frattempo ti indichiamo delle ricette con cui gustarla.
Come la cuciniamo?
Le piccole dimensioni della fagiolina permettono di cucinarla in modo molto semplice: non serve ammorbidirla tenendola a bagno a lungo come si fa di solito con i fagioli secchi di dimensioni più grandi. È sufficiente bollirla semplicemente in acqua leggermente salata.
Sulla bruschetta
La bolli in acqua con un po’ di sale, scolala per bene e poi distendila su una fetta di pane tostato strofinato con aglio, infine una spolverata di pepe appena macinato.
Zuppa
Bollita in acqua leggermente salata, la scoli lasciandola un poco umida e poi la condisci con olio extravergine di oliva, poco pepe e una grattugiata di tartufo nero invernale.
Ravioli
Bollita come prima, ben scolata e passata nel passaverdure. Aggiungi al composto del rosmarino e del timo tritati finissimi, amalgama il tutto fino ad ottenere una pasta che userai come ripieno di ravioli che potrai condire con burro e salvia oppure con ragù di carne e parmigiano grattugiato.
Tagliolini alla fagiolina
Dopo averla bollita come sopra, passa una parte (2 terzi) al passaverdure, ripassala in padella con olio, aglio e timo. Aggiungi a questo il terzo rimasto di fagiolina intera. Scola i tagliolini e saltali in padella nel composto. Se c’è, aggiungi nei piatti poche fettine sottili di tartufo.
Buon appetito!
Spero di averti trasmesso il nostro entusiasmo per questo semplice e raro legume.
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