Tornare alla campagna con l’inconsapevolezza e l’ingenuità di uomini cresciuti cittadini.
Il 19 Gennaio è uscito nelle sale questo delicato film che parla di una fuga in campagna da parte di due novelli amici che scoprono di avere questo comune desiderio.
Il regista e attore Giuseppe Battiston si è ispirato al romanzo incompiuto di Gustave Flaubert per comporre questo film, il suo primo come regista, pieno di quegli elementi che spesso muovono chi è nato e vissuto in città a tornare alla campagna. Scelta a volte mitizzata ma che alla base contiene il desiderio di tornare ad origini che restano nel cuore, come se nel DNA di ognuno di noi sia impresso un ricordo, indelebile, della vita dei nonni, dei bisnonni e di chissà quali trisavoli che respiravano il profumo della terra.
Nel romanzo di Flaubert intitolato “Bouvard e Pécuchet” i due protagonisti si incontrano casualmente su una panchina di Viale Bourdon a Parigi. L’autore descrive il luogo con dovizia estrema di particolari, come fotografando il luogo dove l’incontro avviene: “…l’acqua color inchiostro, formava una linea retta tra le due chiuse. In mezzo c’era un battello carico di legname, e sull’argine due file di botti. Dall’altra parte del canale, tra le case separate dai cantieri, un cielo grande e terso si stagliava in riquadri azzurri…”
Posando, per il caldo, tutti e due i cappelli sulle doghe della panchina, notano entrambe che ognuno aveva scritto il proprio nome sul cappello. Con la medesima esigenza di non confonderlo con altri in ufficio.
Nel film, Fausto Biasutti e Fausto Perbellini scoprono, durante una gita che è anche un corso di fotografia, di avere lo stesso nome. Un bel parallelo, delicato e profondo.
“Fausto”, è un nome proprio di persona è vero ma, è anche un aggettivo. Dal dizionario Treccani vediamo che ha il significato: “Che ha felice esito o dà felice indizio“.
Un bell’inizio, non c’è che dire.
L’amicizia
Fra i due protagonisti del film nasce un’amicizia alimentata anche dal fatto che entrambi sono stufi della vita di città, come i protagonisti del romanzo di Flaubert e, come nel romanzo, ad uno dei due capita la fortuna di una eredità.
Nel romanzo i due amici Bouvard e Pécuchet, dopo laboriose ricerche del luogo adatto, si trasferiscono a Nord della Francia nella regione del Calvados, i due Fausto invece si ritrovano nella immaginaria Valvana, nella realtà la Valle di Suffombergo in Friuli Venezia Giulia (in questa scelta c’è forse un po’ di autobiografia, Giuseppe Battiston è nato ad Udine).
Il ritorno alla campagna
Fausto-Battiston eredita la vecchia casa della nonna e, con entusiasmo e tanta ingenuità, decidono insieme di trasferirsi lì.
Convinti del fatto che potranno vivere semplicemente con i frutti del loro lavoro, si scontreranno con una realtà tutt’altro che benevola. Dapprima la fredda accoglienza dei paesani poi le tante avversità della vita rurale. Il silenzio, il buio della notte, le difficoltà spicciole della vita quotidiana travolgono, senza per nulla scoraggiarli, i due protagonisti.
Nel suo romanzo Flaubert fa vivere a Bouvard e Pécuchet una serie di sconfitte ironizzando con sarcasmo sulla cultura nozionistica acquisita con superficialità. Nel film di Battiston, Fausto e Fausto affrontano invece le avversità con una tenacia ingenua ma piena di una voglia di riscatto nei confronti di una società troppo urbanizzata e vuota di umanità.
Alla fine dei conti, il film insegna una cosa importante riguardo la scelta di andare a vivere in campagna (o in un altro qualsiasi “altrove”): affrontare con leggerezza e sincerità le sfide che si presentano e, soprattutto, non mollare alle prime ostilità del destino, contando sull’amicizia e sulla condivisione.
Per certi versi questo film mi ha ricordato le atmosfere di “4 passi fra le nuvole” di Alessandro Blasetti, un film del 1942, non tanto nella trama, decisamente diversa ma, nella semplicità dei modi, nel rispetto verso le persone e le cose, elementi oggi spesso dimenticati e che invece, nei luoghi rurali ancora si respirano e si vivono.
Il trailer del film
L’intervista a Battiston
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