Oltre le città, il Italia, ci sono territori ai margini (Paesi, Borghi, campagne, comunità montane), vi abita quasi 1/4 della popolazione e copre più di 2/3 del territorio.
Una fetta importante della nostra società e delle nostre risorse che non viene realmente valutata e rivalutata dalle strategie amministrative.
I media (per inciso: media è latino, si pronuncia média e non mìdia), i media, dicevo, ultimamente narrano questi luoghi in modo più promozionale, quasi pubblicitario, che non attraverso un vero e proprio dibattito su come viverli veramente.
Qualche anno fa i Borghi e le aree rurali erano visti come luoghi turistici, dove respirare un’aria antica in contrapposizione ai pesanti mesi vissuti in città. La pandemia ha cambiato il racconto, li ha resi spazi dove poter svolgere un lavoro da remoto, uno smartworking fra mura di pietra e paesaggi bucolici fino ad arrivare, di recente, alla idealizzazione irrealistica del video “Presto sarà domani“, sponsorizzazione assurdamente metafisica per i fondi del PNRR.
Insomma, sempre qualcosa di “altro”, da vivere come uno svago, una villeggiatura, un luogo da cui, alla fine, tornare in città.
L’approccio per il vero recupero delle aree non urbane del nostro territorio necessita invece di una strategia diversa.
Lo stato attuale
Negli ultimi decenni c’è stata una profonda differenziazione fra territori avvantaggiati da processi di crescita infrastrutturale ed aree che sono rimaste lontane da tali processi. I centri urbani concentrano servizi, ricchezza, opportunità di lavoro mentre le aree rurali vivono un processo di impoverimento, spopolamento, assenza di elementi attrattivi (se non meramente turistici).
Gli abitanti di queste aree hanno la precisa sensazione di essere una popolazione di “scarto”, non considerata dalle politiche nazionali.
In Europa è proprio l’Italia il Paese più colpito da questo fenomeno di dicotomia profonda fra aree urbane e aree periferiche/rurali.
Qualcosa sta cambiando
Negli ultimi tempi però, la percezione delle aree rurali sta cambiando, da una visione paternalistica di luoghi da assistenzialismo si stanno trasformando in opportunità, sociali ed economiche.
Al di là del racconto giornalistico, la pandemia ha davvero fatto scoprire a molti la possibilità di lavorare anche presso abitazioni collocate fuori delle città, con ritmi e condizioni meno stressanti.
Tema che abbiamo trattato nell’articolo “I Borghi, i giovani e la banda larga“.
Le Amministrazioni sono state così spinte a ricostruire un tessuto di servizi per supportare questo aumento di popolazione di ritorno ma, siamo ancora lontani dal giusto equilibrio.
Una interessante iniziativa
Nel 2018 è stato pubblicato, da Donzelli, il libro “Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste“, una analisi a più voci
che ha generato molto interesse, al punto di dar vita ad una Associazione, denominata proprio “Riabitare l’Italia” che vuole diffondere e discutere questo tema (visita il sito, io l’ho trovato interessante e ben fatto).
I componenti della Associazione, che sono studiosi, ricercatori, esperti del settore ma anche poli universitari e istituti di ricerca, stanno sviluppando un progetto editoriale che ha già prodotto molteplici iniziative e molti libri, fra i quali mi preme segnalare “Contro i Borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi“.
Un libro dove si sottolinea quanto, ancora oggi, i Borghi italiani vengono visti come luoghi di fuga e non come vere e proprie realtà territoriali, negandone la vera identità sociale e culturale.
Una riflessione sulle “case a un Euro”
Leggendo qua e là su Internet per saperne di più su questo progetto del “Riabitare l’Italia” mi sono imbattuto nella iniziativa, già in atto da diversi anni, di quei Comuni che propongono la vendita di case al prezzo simbolico di 1 Euro.
Se vuoi saperne di più ti suggerisco di consultare il sito dedicato a questa iniziativa.
Diversi Comuni italiani stanno proponendo, già da diverso tempo, l’acquisto di case in paesi e borghi in via di spopolamento al prezzo di un solo Euro a fronte dell’impegno a ristrutturarle e viverle.
Il duplice fine è quello sia di recuperare un patrimonio immobiliare esistente, evitando nuove costruzioni con conseguente consumo di suolo, sia di ripopolare aree che per emigrazione da lavoro e riduzione naturale della popolazione anziana si avviano all’abbandono.
Ha avuto successo?
Pur sembrando molto accattivante, la proposta non ha avuto grande successo, anche se ultimamente sta crescendo l’interesse. L’idea di fondo è interessante ma, non basta offrire case praticamente gratis, occorre anche creare un contesto affinché l’idea di abitare in un ridente e affascinante Borgo sia accompagnata dalla presenza di servizi.
Posso pure pensare di abitare una bella casa in un contesto dalla storia medievale ma, se non ho treni, autobus, uffici comunali, uffici postali, negozi di vicinato, collegamenti Internet, opportunità di lavoro, cosa ci vado a fare?
Non parlo di centri commerciali o di collegamenti ad alta velocità o aeroporti ma, delle esigenze minime di base, quelle che bastano e avanzano a chi sceglie una vita meno frenetica e stressante di quella cittadina, non di più.
Quindi, ben venga il vendere le case ad un euro ma, anche offrire ciò che fa di un paese un paese, le sue infrastrutture tecniche e soprattutto sociali.
Tornare in campagna, tornare ai Borghi e ai paesi, benvenga, è importante ma, è importante ancor di più che questo ritorno, questo riuso dei territori venga accompagnato da politiche adeguate, mirate ad una vera crescita e utilizzo dei 2/3 dello spazio di questa Nazione.
Vorrei conoscere il tuo parere su questo argomento, sapere cosa ne pensi.
Scrivi nei commenti il tuo punto di vista, ci confronteremo, costruttivamente sulle idee e proposte di chi, da vicino, vive queste scelte.